Nel corso della puntata del 30 aprile, Le Iene indagano sul Ponte sullo Stretto di Messina: in ballo anche un terreno di proprietà degli eredi di Ciccio Mancuso.
La realizzazione del Ponte sullo Stretto sarà tra i principali argomenti della puntata del 30 aprile della trasmissione Le Iene: a parlarne, in un servizio, saranno Giulio Golia e Francesca Di Stefano, come si evince dalle anticipazioni del programma. Il focus sarà su uno dei nodi più complessi, ovvero gli espropri delle abitazioni necessari per la costruzione dell’infrastruttura.
Nello specifico, il servizio verterà sui racconti degli abitanti destinati a trasferirsi altrove, mettendo in evidenza in particolare il paradosso per cui alcuni discendenti di capi di famiglie ‘ndranghetiste trarranno benefici dall’operazione. Nello specifico, come peraltro anticipato dalla cronaca locale qualche settimana fa, lo Stato confischerà una cava abbandonata della famiglia Mancuso.
I terreni degli eredi di Ciccio Mancuso espropriati per costruire il Ponte sullo Stretto di Messina
Si tratterebbe, nello specifico, di due terreni appartenenti a una figlia del boss Ciccio Mancuso, che si trovano uno a Nicotera e l’altro a Limbadi, quest’ultimo utilizzato già per il porto di Gioia Tauro. Altre due le donne che dovrebbero ricevere dei risarcimenti, ovvero due nipoti del boss, la figlia della figlia e la figlia di una sorella. Ma chi sono i Mancuso e in particolare chi era il boss Ciccio?
I Mancuso sono una potente ‘ndrina di Limbadi e Nicotera, considerata la più influente della provincia di Vibo Valentia: i loro legami non sarebbero stati negli anni solo con le altre ndrine, ma anche con Cosa Nostra e addirittura con le FARC, ovvero i nuclei guerriglieri colombiani. Avrebbero ramificazioni in Africa e sarebbero presenti anche nel nord Italia, soprattutto a Milano, in Piemonte ed Emilia-Romagna.
Sono stati considerati per molto tempo il clan finanziariamente più potente d’Europa, dedicandosi principalmente al traffico internazionale di droga, estorsioni, usura e appalti pubblici, e riuscendo a infiltrarsi nella pubblica amministrazione e nel settore turistico-alberghiero. Uno dei principali esponenti del clan sarebbe stato appunto Francesco Mancuso, detto Ciccio.
La figura di Ciccio Mancuso, il boss latitante che venne eletto sindaco
“Don Ciccio”, classe 1929 e deceduto nel 1997, era il secondo di otto fratelli maschi, figlio di Peppe Mancuso: in famiglia, c’erano anche tre figlie femmine. Considerato il “capobastuni” della sua cosca, era latitante nel 1985, quando finì in manette, ma era latitante anche due anni prima, quando fu al centro di un caso incredibile.
Infatti, nel 1983, Ciccio Mancuso si candidò a sindaco, pur essendo già latitante, e stravinse le elezioni comunali: l’allora presidente della Repubblica, Sandro Pertini, intervenne per sciogliere il consiglio comunale. Quello dell’elezione a sindaco del boss latitante resta uno dei casi più eclatanti di infiltrazione diretta di un clan mafioso all’interno della pubblica amministrazione.