I tagli alla sanità stanno comportando enormi problemi al settore, compreso l’abbandono dei medici che lasciano gli ospedali pubblici.
Non ci sono medici, o meglio, ce ne sono pochi e sempre di meno. Ce ne siamo accorti durante il periodo della pandemia, quando l’emergenza sanitaria ha reso evidente il problema. Ma il problema non è mai stato risolto e, anzi, è andato via via peggiorando. I tagli alla sanità, in questo senso, non aiutano di certo.
Basti pensare che tra il 2019 e il 2022 negli ospedali sono stati tagliati 32.500 posti letto e che numerosi nosocomi sono stati chiusi. Nel corso di 10 anni sono venute meno 95 strutture, corrispondenti a circa il 9% del totale. Stando ai dati del FoSSC, inoltre, “si stima che, negli ospedali italiani, manchino almeno 100mila posti letto di degenza ordinaria e 12mila di terapia intensiva“.
Ma non solo: i tagli alla sanità comportano problemi anche nell’erogazione dei servizi, nell’approvvigionamento dei materiali e mettono a rischio l’assistenza sanitaria e “le cure per tutti”. A un contesto di questo tipo va ad aggiungersi anche il problema della “fuga dei cervelli”: i medici sono pochi e molti di loro, una volta formatisi in Italia, vanno a lavorare all’estero, dove le condizioni sono migliori e dove gli stipendi arrivano a cifre anche 10 volte più alte delle nostre.
In questo senso i numeri parlano chiaro: tra il 2019 e il 2022 sono oltre 11mila i medici che hanno lasciato gli ospedali pubblici.
Ma come si risolvono problemi del genere? Purtroppo il compito è molto arduo e non basterà assumere nuovi medici, soprattutto considerando che l’età media dei nostri professionisti è molto più alta dello standard europeo e che entro il 2025 sono previsti migliaia di pensionamenti. Nel giro di circa un anno, infatti, andranno in pensione 29mila medici e 21mila infermieri e ciò minerà ulteriormente la stabilità del settore.
Il potenziamento delle strutture sanitarie esistenti, in questo senso, sembra essere una delle poche soluzioni da attuare. Per farlo sono però necessari finanziamenti pubblici di ingente entità, in un contesto in cui la privatizzazione del servizio sta prendendo piede. Rispetto alla media europea, infatti, la spesa dei cittadini italiani per accedere a cure private è molto alta, con un divario evidente tra nord e sud Italia.
Molto spesso sono le lunghe liste di attesa a comportare problemi, nonché il fatto che “i livelli essenziali di assistenza Lea, cioè le cure considerate fondamentali, non sono rispettati in 12 Regioni su 21“. Una media altissima che dovrebbe assolutamente essere ridotta!
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